Come C.A.T.A.P. (il Coordinamento di 8 associazioni tecnico-scientifiche che si occupano di ambiente e di paesaggio) siamo allibiti di fronte a quanto sta avvenendo in Italia sul fronte del Recovey Plan (il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che verrà mandato in Europa per i finanziamenti della Next Generation EU).
La preoccupazione è che si perda l’occasione forse unica di migliorare il futuro delle nuove generazioni, il nostro sconcerto non è solo sulle strumentalizzazioni politiche che rischiano di far saltare i finanziamenti, ma anche sul merito dei contenuti degli atti finora disponibili: la Bozza del 6 dicembre scorso, le schede-progetto del 29 dicembre, il documento di “indirizzi” e la nuova tabella-progetti del 6 gennaio. Nonostante la presenza della parola “transizione”, non c’è una logica di coerenza che dia garanzia che i progetti previsti, tra di loro scollegate, possano aprire davvero un nuovo modello di sviluppo, attraverso investimenti che consentano un ritorno economico indispensabile per la restituzione della quota parte di prestiti.
Nelle premesse e nelle azioni previste dagli atti ad oggi disponibili c’è una grave lacuna che, se non colmata, non risolverà il degrado ambientale del nostro paese ed i danni economici collegati, da quelli idrogeologici esaltati dai cambiamenti climatici ai rischi di nuove pandemie derivate dai corto-circuiti biologici provocati da sbagli nelle nostre attività. Manca pressochè completamente la considerazione degli ecosistemi (quelli concreti che producono servizi per la vita, non solo quelli metaforici del digitale e dell’economia – questi sì richiamati negli atti), della biodiversità (dalle specie che danno valore ai territori a quelle critiche, compresi i virus e le specie aliene), del paesaggio (il condensato concreto dei luoghi così come percepiti dalle popolazioni e dalla cultura, che oltre ad essere una base della nostra ricchezza è anche imposto dalla nostra Costituzione come vincolo ed opportunità nei processi decisionali). Non si commetta l’errore di pensare che i temi indicati siano solo questioni di fiori ed insetti (che pure sono fondamentali: senza i loro servizi nelle impollinazioni sarebbe una tragedia), lontani da ciò che si considera come economia vera.
L’emergenza Covid-19 ha messo in evidenza la vulnerabilità dei nostri sistemi urbani ed extraurbani nelle loro componenti socio-economiche, ambientali e organizzative. Dunque, le azioni più urgenti dovrebbero essere focalizzate a ridurre le vulnerabilità del sistema ricordando anche come le principali occasioni recenti di incontro internazionale (ad es. The Global Risk Report del World Economic Forum del 2018), mettano ai primi posti delle cause di rischio per gli investimenti gli eventi climatici estremi, i disastri naturali, il fallimento delle politiche di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici e, subito dopo, la perdita di biodiversità e il collasso degli ecosistemi).
Se non è realistico chiedere una riscrittura del Piano, sono però possibili miglioramenti anche sostanziali. Non è necessariamente una questione di nuove voci di spesa, ma di riconoscimento del ruolo basale del tema esposto nella relazione generale del Piano, e di previsione di strumenti per una sua considerazione nella fase attuativa di molti dei progetti previsti, ad esempio prevedendo in modo regolare l’utilizzo di infrastrutture verdi e blu di raccordo con il contesto territoriale, e di NBS (Nature Based Solutions come richiesto dagli atti europei) in grado di produrre effettivamente resilienza ed adattamento nei confronti dei nuovi rischi incombenti. Come C,A.T.A.P. siamo in grado di dare suggerimenti al riguardo, in uno spirito costruttivo e esclusivamente volto al pubblico interesse.