versione 21.8.2023, a cura di: Sergio Malcevschi. referente nazionale CATAP
1. Parole-chiave strategiche per il cambiamento. Il percorso di transizione climatica ed ecologica coinvolge molteplici attori – le istituzioni, il mondo tecnico-scientifico, quello culturale, il pubblico nel suo complesso, i media che svolgono funzioni connettive – che utilizzano linguaggi diversi, e tra cui si creano problemi di efficienza ed efficacia nella comunicazione.
Una transizione efficace richiede peraltro che le decisioni prese dalle istituzioni e dal mondo economico, per essere corrette e non creare impatti negativi aggiuntivi sull’ambiente o sulla società, siano prese in modo consapevole sulla base delle migliori conoscenze ed indicazioni tecnico-scientifiche. E’ il pubblico che elegge i decisori e compra i prodotti, ed ha a sua volta la necessità di comprendere la natura della crisi climatica ed i perché delle decisioni sulla soluzione dei problemi. La qualità dell’informazione e della comunicazione che dai decisori arriva al pubblico è quindi una condizione necessaria, e diventa un problema se è insufficiente. Il ruolo dei media è pertanto decisivo per una transizione efficace.
All’interno dei flussi di informazione tra gli attori coinvolti un aspetto sostanziale è quello che riguarda l’uso di parole-chiave strategiche, quelle con le maggiori implicazioni sulle decisioni che condizioneranno le azioni e la vita delle persone nei prossimi anni. La questione riguarda sia il rigore con cui vengono usati i termini, sia la l’efficacia comunicativa delle informazioni che coinvolgono tali termini. Un loro uso impreciso o ambiguo potrà avere conseguenze pesanti sull’intera filiera delle decisioni che vengono prese.
Tra essi, un termine molto importante ed attuale è quello che riguarda la “neutralità climatica” da conseguire entro il 2050, obiettivo centrale del Green Deal europeo. Base delle politiche sulla transizione dell’attuale Commissione, la neutralità climatica è diventata in Europa non solo un fattore centrale di orientamento per la programmazione economica delle istituzioni e delle aziende, nonchè direttamente o indirettamente anche per una parte cospicua delle attività di ricerca e professionali del mondo tecnico e scientifico coinvolto. In più ha anche assunto un rilevante ruolo indiretto di condizionamento della vita delle persone attraverso le azioni intermedie che l’Europa sta prevedendo in vista del 2050, come quelle relative al passaggio all’auto elettrica per il 2035 ed alla “casa ecologica” per il 2030. Azioni ad alta capacità di suscitare attenzioni e pressioni da parte della società sui decisori, che ci sia consapevolezza o meno del loro rapporto con l’obiettivo della neutralità climatica.
Possiamo considerare sufficiente la qualità dell’informazione e della comunicazione che i media dedicano alla “neutralità climatica” rispetto al tema generale dei cambiamenti climatici?
2. Due lettere ai media. Un buon punto di partenza per un approfondimento della questione è la “Lettera aperta ai media italiani” (luglio 2023) che oltre 100 scienziati italiani hanno sottoscritto per migliorare l’informazione sul clima, che iniziava con questo invito:
“Giornalisti, parlate delle cause del cambiamento climatico, e delle sue soluzioni. Omettere queste informazioni condanna le persone al senso di impotenza, proprio nel momento storico in cui è ancora possibile costruire un futuro migliore”.
L’appello riprendeva la sostanza, con precisazioni ed attualizzazioni, di un’analoga precedente ”Lettera aperta ai media italiani” prodotta nell’agosto 2022 dal Climate Media Center Italia in vista delle allora vicine elezioni politiche. Guardando l’informazione on-line che ne è seguita, i due appelli hanno avuto efficacia differente come oggetto di attenzione. Mentre la “Lettera” del luglio 2023 è stata indubbiamente efficace, almeno per l’eco suscitata sui media come oggetto di notizia, non altrettanto era avvenuto con quella dell’agosto 2022. Nel 2022 il tema non era evidentemente stato considerato dai media primario rispetto ad altri a ridosso delle elezioni politiche. Sarebbe interessante capire se il buon riscontro della seconda Lettera/appello stia nell’ulteriore e peggioramento della situazione climatica (il luglio di quest’anno è stato in assoluto il mese più caldo mai registrato finora), o nel fatto che tra i firmatari ci fossero nomi aventi già un alto prestigio presso il pubblico, o nella crescita della consapevolezza dei media nei mesi scorsi.
Ma al di là dell’efficacia immediata attraverso i riscontri come oggetto di notizia, ciò che importa è l’efficacia del messaggio per quanto riguarda l’attuazione dei suoi contenuti ed obiettivi, verificabile solo nel tempo.
3. Selezionare le parole-chiave. Una questione molto importante e per certi aspetti preliminare riguarda la scelta delle parole da usare come chiave dei messaggi che si vogliono trasmettere. Nella “Lettera ai media” del 2023 i firmatari si lamentano ad esempio che “i media italiani parlano ancora troppo spesso di ‘maltempo’ invece che di cambiamento climatico”. In tal caso il senso dell’indicazione è chiaro: i due termini non sono interscambiabili perché riflettono contenuti intrinsecamente diversi: il maltempo riguarda eventi occasionali mentre i cambiamenti climatici riflettono processi di lungo corso.
In altri casi la scelta delle parole-chiave corrette è meno evidente. Prendiamo come esempio un altro paio di passi della “Lettera”:
“… è chiarissimo su quali siano le cause principali del cambiamento climatico: le emissioni di gas serra prodotte dall’utilizzo di combustibili fossili. Ed è altrettanto chiaro su quali siano le soluzioni prioritarie: la rapida eliminazione dell’uso di carbone, petrolio e gas, e la decarbonizzazione attraverso le energie rinnovabili. È questa la strategia giusta per fermare l’aumento delle temperature, ed è tecnologicamente ed economicamente attuabile già oggi. A questo devono aggiungersi politiche di adattamento per proteggere persone e territori da quegli effetti del cambiamento climatico divenuti ormai irreparabili”. — “Siamo ancora in tempo per scegliere un futuro sostenibile che metta al primo posto la sicurezza, la salute e il benessere delle persone, come previsto dagli obiettivi europei di riduzione delle emissioni del 55% al 2030 e di neutralità climatica al 2050. …”
I temini usati nella citazione hanno differenti livelli di “tecnicità”. Alcuni di essi (come “decarbonizzazione”) hanno una natura talmente tecnica e specialistica da poter sembrare insostituibili. Altri termini (come “eliminazione dell’uso del carbone”) sembrerebbero nella loro auto-evidenza non porre rischi di cattiva interpretazione (ma non è detto che sia così). Alcuni altri, pur avendo natura tecnica (e potendo quindi essere utilizzati con rigore) vengono spesso sostituiti nei media da altri meno appropriati ma più legati al linguaggio comune usato dal pubblico; come nel caso citato dalla “Lettera” di “cambiamenti climatici” e “maltempo”. In generale rischi di uso impreciso si pongono più facilmente per termini (come “adattamento”) che si sovrappongono a significati variegati nel linguaggio comune.
Esiste un dosaggio corretto nell’uso di termini tecnici e non tecnici ai fini del rigore e dell’efficacia nella comunicazione sui cambiamenti climatici? Quali avvertenze consigliare per il loro uso? Per quanto ci interssa in questa sede, che posizione deve avere in tale dosaggio la “neutralità climatica” (anch’essa uno dei termini richiamati dalla “Lettera”) non solo in termini formali ma anche di sostanza?
4. Le attenzioni del pubblico. Una componente dell’efficacia finale dell’intero meccanismo comprende anche le attenzioni effettive del pubblico nel suo insieme, ovvero del destinatario dell’informazione fornita dai media. Il massimo dell’efficacia lo abbiamo quando ci sono insieme un’alta rilevanza del messaggio ed un’alta attenzione dei destinatari. Un indicatore in proposito è fornito da Google con il suo servizio Google Trends, che rende conto in modo relativizzato delle ricerche sul web dal pubblico mediante parole-chiave singole o in gruppo. Consideriamo (vedi figura 1) quanto avvenuto negli ultimi 5 anni per le parole-chiave “maltempo” (parola del linguaggio comune), “neutralità climatica” (termine strettamente tecnico usato in ambito istituzionale) , “temperatura” e “clima” (termini tecnici ma ormai parte integrante del linguaggio comune).
Figura 1 – Ricerche in Italia negli ultimi 5 anni, secondo Google Trends, di 4 parole-chiave di interesse per il tema climatico
Si nota il progressivo aumento di interesse negli ultimi anni per temperatura e clima, trainato dai picchi estivi di calore in agosto (2021) ed in luglio (2022 e 2023). Il picco massimo relativo per il periodo considerato lo ha avuto invece maltempo nei giorni a cavallo tra ottobre e novembre del 2018 (in occasione della tempesta “Vaia” che provocò danni enormi in molte regioni italiane).
Se analizziamo invece i cumuli complessivi delle ricerche per i 4 termini nel tempo considerato, troviamo che la maggior parte di esse (il 66%), ha riguardato temperatura; a seguire clima (25%), maltempo (11%). Le ricerche per neutralità climatica sono state invece praticamente trascurabili rispetto agli altri termini.
Un tema, per quanto riguarda la scelta delle parole da usare nelle informazioni, è dunque il bilanciamento tra la loro popolarità (quindi capacità di risuonare come conosciute nella testa dei lettori) e la loro importanza ai fini dei messaggi che si vogliono trasmettere. Il fatto è che la popolarità non coincide con l’importanza. La popolarità di un termine non è un indicatore diretto della sua rilevanza strategica (potrebbe perfino essere il contrario). E’ sicuramente così per la neutralità climatica, che pur sintetizzando l’azione europea in materia di transizione da qui al 2050 non suscita attenzioni nel pubblico, combinando probabilmente la novità con un elevato grado di tecnicalità e con capacità evocativa insufficiente o comunque ambigua.
Si pone comunque per i media la questione di come trattare termini non popolari ma strategici che in teoria dovrebbero essere previlegiare ai fini degli obiettivi della comunicazione.
5. Significati equivoci. Oltre alla scelta delle parole, l’aspetto più rilevante rimane forse quello relativo al significato assunto dalle parole-chiave usate. Molto spesso per i significati percepiti dai fruitori dell’informazione per una medesima parola-chiave non c’è univocità, e ciò può produrre conseguenze rilevanti sul modo in cui il pubblico ed i decisori capiscono le cose. Un problema aggiuntivo per i termini percepiti come più “scientifici” è che la non univocità può esserci già all’origine, quando la medesima parola-chiave viene usata in modo differente da scienziati e tecnici di diverse discipline, o nella scrittura delle norme, o nei comunicati ufficiali prodotte dalle istituzioni. In tali casi se il messaggio arriva distorto al pubblico la colpa non è solo di giornalisti consapevolmente faziosi, ed il “rumore” nella comprensione finale da parte del pubblico può addirittura aumentare.
Considerando che ci troviamo in un campo minato per le implicazioni su decisioni critiche, dovrebbe essere massima l’attenzione per un uso non equivoco dei termini-chiave, e a maggior ragione nei media direttamente gestiti dalle istituzioni. Un esempio: nel Giornale Italiano delle Nazioni Unite che riporta la dichiarazione ad alto impatto mediatico di Guterrez (quella sul passaggio dalla fase di “riscaldamento climatico “ a quella di “ebollizione del pianeta”, Onuitalia, 28.7.23) vengono ricordati gli obiettivi primari da perseguire riconosciuti a livello internazionale per evitare il disastro:
“I Paesi sviluppati dovrebbero impegnarsi a raggiungere la neutralità dal carbone il più vicino possibile al 2040 e le economie emergenti il più vicino possibile al 2050”.
Sorgono dubbi su cosa voglia intendersi con l’obiettivo “neutralità dal carbone” al 2040. E’ da considerare equivalente ad “eliminazione dell’uso del carbon fossile”, o è una traduzione ambigua del termine “carbon neutrality” circoscritta al campo attuale degli utilizzi del carbone? Quanto c’entra con il raggiungimento di una “neutralità climatica” e non solo carbonica in senso europeo?
Le domande precedenti possono sembrare sottigliezze tecnicistiche di scarso interesse. Ma se apparteniamo ad un pubblico tecnico i dubbi si pongono. E se invece apparteniamo ad un pubblico non tecnico, ancorchè interessato al tema generale del clima ma non addentro ai tecnicismi, potremmo addirittura pensare (sperare) che una non meglio precisata “neutralità dal carbone” entro il 2040 sia la soluzione per evitare l’”ebollizione” del pianeta, azione necessaria e sufficiente per arrivare ad un riequilibrio climatico in cui si sono risolti anche gli impatti negativi sulla nostra vita prodotti dal clima.
In un campo minato dal punto di vista sostanziale e comunicativo come quello di cui stiamo parlando un requisito fondamentale da richiedere ai produttori di messaggi, soprattutto se istituzionali, dovrebbe essere una precisione nell’uso dei termini, in particolare quelli strategici, che non lasci dubbi sul loro significato.
6. Quale significato per “neutralità climatica”? Purtroppo ci sono ambiguità non solo formali ma anche sostanziali sul significato da attribuire a “neutralità climatica”, in teoria termine tecnico-scientifico univoco nel suo rigore, ripreso ai massimi livelli negli atti istituzionali europei. La tabella successiva riassume alcuni tra i principali riferimenti al riguardo.
Tabella 1 – Significati di “Neutralità climatica”, obiettivo del Green Deal Europeo per il 2050
Riferimenti | Definizioni | In sintesi |
1. Green Deal europeo (Commissione europea, 11.12.2019) | Pag.4: La Commissione ha già delineato un chiaro programma per conseguire la neutralità climatica entro il 2050 (COM 2018-773). … Entro marzo 2020 la Commissione proporrà la prima “legge per il clima” europea … che “garantirà che tutte le politiche dell’UE contribuiscano all’obiettivo della neutralità climatica e che tutti i settori svolgano la loro parte. | Si introduce ufficialmente la parola-chiave neutralità climatica senza però darne una definizione. Si rimanda per i suoi contenuti al precedente atto COM 2018-773 e ad una futura Legge sul clima |
2. Un pianeta pulito per tutti (Comunicazione 773 del 28.11.2018. “. Visione strategica europea a lungo termine per un’ economia…. climaticamente neutra”)
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Pag.5: per limitare l’aumento della temperatura a 1,5 ºC, il pianeta deve raggiungere la neutralità per le emissioni di CO2 intorno al 2050 e per tutti gli altri gas serra un po’ più tardi entro la fine del secolo; in questa fase occorre compensare le eventuali emissioni residue di gas serra in alcuni settori con l’assorbimento in altri.
Pag.26 la transizione verso un’Europa climaticamente neutra dovrebbe basarsi su una serie di principi fondamentali, del tutto coerenti con gli obiettivi di sviluppo sostenibile. [energia pulita, il ruolo dei cittadini”, rafforzamento della competitività industriale” ecc.] |
L’atto parla di neutralità per le emissioni di CO2 (poi di gas-serra) e di un’Europa climaticamente neutra rimandando ad una generica coerenza con una serie di obiettivi di sviluppo sostenibile. Si introducono già agli assorbimenti compensativi.
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3. Legge europea sul clima:
Regolamento UE 2021/1119 “che istituisce il quadro per il conseguimento della neutralità climatica |
Art.2 – Obiettivo della neutralità climatica 1. L’equilibrio tra le emissioni e gli assorbimenti di tutta l’Unione dei gas a effetto serra disciplinati dalla normativa unionale è raggiunto nell’Unione al più tardi nel 2050, così da realizzare l’azzeramento delle emissioni nette entro tale data, e successivamente l’Unione mira a conseguire emissioni negative. | La neutralità climatica viene definita, attraverso il suo obiettivo, come equilibrio tra emissioni ed assorbimenti di gas-serra |
4. Neutralità carbonica Europarlamento 8.10.2019, aggiornato al 14.4.2023
[Pagina web di comunicazione al pubblico] |
“Neutralità carbonica: cos’è e come raggiungerla entro il 2050. …Le emissioni zero (o neutralità carbonica) consistono nel raggiungimento di un equilibrio tra le emissioni e l’assorbimento di carbonio” | Si parla qui di neutralità carbonica in termini di equilibrio tra emissioni ed assorbimento. E’ la stessa definizione di neutralità climatica, della legge sul clima salvo il riferimento al carbonio e non al complesso dei gas-serra. |
5. Neutralità climatica come “Riequiiibrio climatico” o almeno come “Blocco della crisi avanzante” [Interpretazione diffusa ne pubblico, non formalizzata in ambito istituzionale o scientifico]
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Definizione possibile: Riequilibrio complessivo del problema climatico, in cui non solo sono state eliminate le cause degli impatti negativi del clima (le emissioni dii gas-serra da fonti fossili), ma sono anche stati neutralizzati gli effetti negativi (perdite e danni) sulle persone, sulle attività umane, sui territori | In questa accezione risponderebbe alle attese implicite del pubblico “non tecnico” di una soluzione dei problemi climatici che si traduca in vantaggi diretti per la propria vita o per quella dei propri figli almeno in termini di blocco della crisi
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In sintesi:
- la parola-chiave neutralità climatica è stata ufficializzata nel percorso europeo di contrasto ai cambiamenti climatici con il Green Deal del 2019; l’atto però non ne dava direttamente una definizione, rimandando per i suoi contenuti alla precedente Comunicazione della Commissione “Un pianeta pulito per tutti” del 2018 e alla successiva Legge sul clima (uscita poi come Regolamento europeo nel 2021);
- per la legge europea su clima il termine è da intendersi come “equilibrio tra emissioni ed assorbimenti di gas-serra”, una condizione precisamente definibile sul piano tecnico da applicare al principale fattore intermedio (i gas-serra) nella catena causale della crisi climatica che dalle emissioni arriva agli effetti finali, ovvero ai danni prodotti dal clima sui territori;
- altri riferimenti in campo tecnico ed in quello della comunicazione istituzionale (ad esempio dell’Europarlamento) usano invece il termine “neutralità carbonica”, con un contenuto identico a quella “climatica” (equilibrio tra emissioni ed assorbimenti di gas-serra) salvo che letteralmente non è applicato a tutti i gas-serra ma solo a quelli basati sul carbonio; in molti casi c’è però un uso sostitutivo dei due termini;
- esiste nei fatti anche, per “neutralità climatica”, un’interpretazione non istituzionale ma diffusa tra il pubblico interessato non specializzato (amministratori, tecnici e ricercatori di varia estrazione disciplinare, mondo della partecipazione, imprenditori) che estende il suo significato dalla causa principale (i gas-serra) agli effetti attesi di “neutralizzazione” degli impatti climatici negativi (su persone, attività umane, territori), almeno come blocco dell’avanzamento della crisi climatica.
Se un uso promiscuo di “neutralità climatica” e “neutralità carbonica” può essere considerato un problema soprattutto formale, di veniale imprecisione nelle informazioni dirette ad un pubblico complessivo, quello della confusione tra le azioni sulle cause (riequilibrio sulle emissioni di gas climalteranti) e le attese sugli effetti (riequilibrio anche per quanto riguarda i danni prodotti dal clima) è una questione sostanziale.
Questione sostanziale anche per quanto riguarda il ruolo dei territori e degli ecosistemi in cui vivono i cittadini destinatari delle decisioni per il contrasto ai cambiamenti climatici e delle comunicazioni relative. Non dimentichiamo che il Green Deal europeo avrà senso ed effetto solo se attuato nel suo insieme, accompagnando il contrasto ai cambiamenti climatici con il riequilibrio ed il recupero degli ecosistemi degradati, oggetto di altre azioni strategiche come la recente Nature Restoration Law (atto peraltro non ancora consolidato nonostante la recente approvazione del Parlamento europeo).
7. La neutralità climatica fa notizia? In ogni caso la “neutralità climatica” rimane un oggetto comunicativo sofisticato, che difficilmente riesce direttamente in sé a fare notizia. Lo fa raramente, quando diventa l’oggetto di specifiche iniziative di avanguardia, collegate agli obiettivi europei, da parte di amministrazioni lungimiranti. Ad esempio
- Torino verso la neutralità climatica al 2030 – Confronto aperto con le imprese del territorio (torinonews24.it, 20.7.23)
- Il Piano del clima che porterà l’Alto Adige alla neutralità climatica entro il 2040 (repubblica.it, 19.7.23).
Nella pratica dei flussi di informazione l’importanza dell’obiettivo tecnico “neutralità come equilibrio di emissioni ed assorbimenti” rimane in ombra, troppo sofisticato, a favore di azioni del Green Deal mediaticamente più eclatanti come la “casa ecologica” al 2030 e l’auto elettrica al 2035, che incidono direttamente sulla vita delle persone e sulle decisioni da prendere nei prossimi anni. Azioni che pure, come abbiamo già ricordato, che sono componenti del percorso europeo al 2050 ai fini della neutralità climatica, e che si traducono per le persone in dilemmi se accettarle o meno.
In nome di che cosa accettare costi economici e sacrifici da parte dei cittadini nei prossimi anni? Se non dei sofisticati contenuti tecnici della neutralità climatica (l’equilibrio tra emissioni ed assorbimenti di gas-serra) le motivazioni più logiche risiedono nell’attesa degli effetti benefici di tali decisioni. E quali sono gli effetti positivi della neutralità climatica? La consapevolezza etica di contribuire ad un’inversione della crisi globale, che porti in futuro ad un riequilibrio climatico planetario godibile dalle future generazioni. E intanto un blocco dell’avanzamento della crisi climatica, limitando i danni sul proprio territorio; entro quando?
Molto interessante sotto questo profilo è stata la recente (18 giugno 2023) esperienza di un referendum in Svizzera che ha approvato con il 59,1% di voti favorevoli la “Legge federale sugli obiettivi in materia di protezione del clima, l’innovazione e il rafforzamento della sicurezza energetica” Una legge che prevede (art.3) obiettivi sui fattori causali (massima riduzione delle emissioni di gas-serra compensate con tecnologie ad emissioni negative) simili (ma non identici) a quelli della neutralità climatica europea, accanto (art.8) a misure volte all’adattamento agli effetti negativi dei cambiamenti climatici e alla protezione contro tali effetti. A livello mediatico e della partecipazione attiva coinvolta, c’è stata la sovrapposizione con il messaggio “salviamo i ghiacciai”. Il termine “neutralità climatica”, con le ambiguità che abbiamo visto in altre circostanze, non compare nella legge mentre è stato usato in alcune informazioni rivolte al pubblico, contestualizzando i contenuti tecnici con i limiti delle attese, senza generare attese messianiche ma stimolando in ogni caso a non tirarsi indietro. Ad esempio in Perché lo scioglimento dei ghiacciai riguarda ognuno di noi (swissinfo.ch, 25.7.23) si dice che
“la scienza nulla può se le emissioni di gas a effetto serra continuano ad aumentare. Nel giugno 2023, l’elettorato svizzero ha accettato la nuova legge sul clima che rende vincolante il raggiungimento della neutralità climatica, e quindi un bilancio netto delle emissioni pari a zero, entro il 2050. Soltanto la fine dell’era dei carburanti e dei combustibili fossili consentirà di preservare almeno una parte dei ghiacciai alpini”.
Utile in questa sede richiamare anche il modo in cui l’esperienza è stata ripresa nei giorni successivi in Italia dalle principali testate (poi da altre minori) con articoli come
- Svolta green della Svizzera: «Sì» al referendum per salvare i ghiacciai. Il referendum è stato promosso da scienziati e ambientalisti per salvare i ghiacciai iconici della Svizzera. Il quesito sul clima introduce nuove misure per ridurre le emissioni di gas serra e raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 (ilsole34ore.com, 18.6.23);
- In Svizzera vince il sì al referendum per diventare carbon neutral entro il 2050 (repubblica.it, 19.6.23”);
- Neutralità carbonica: approvato in Svizzera il referendum salva ghiacciai (buonenotizie.it, 25.7.23).
Con ampia mescolanza, come si vede, di termini e significati non equivalenti: “neutralità climatica” vs.”carbon neutral” vs. “neutralità carbonica”; “riduzione delle emissioni di gas-serra” & “salvataggio di valori ecosistemici sul territorio (i ghiacciai)”.
8. Suggerimenti. La questione del cosa intendere con “neutralità climatica” e come decidere di usarla nell’informazione e comunicazione dunque è non banale per nessuno degli attori coinvolti, né per i media che vogliano usare tale termine, né per i cittadini che fruiscono delle informazioni sulla crisi climatica e la sua evoluzione, nè per la componente tecnico-scientifica che per fare bene il proprio mestiere deve stare molto attenta ad evitare imprecisioni di linguaggio (apparentemente secondarie ma in realtà con conseguenze rilevanti sulla qualità e sugli effetti finali della comunicazione). Essenziale per tutti dovrebbe essere è la chiarezza sulla modalità d’uso del termine “neutralità climatica”, se restrittiva/causale (in senso strettamente tecnico: bilancio di gas-serra) o estensiva/effettuale (blocco dei problemi climatici sul proprio territorio, ciò che davvero interessa al pubblico coinvolto).
Per quanto riguarda il ruolo dei media e degli altri mondi coinvolti nella produzione di contenuti informativi (quello tecnico-scientifico, quello istituzionale) non ci sarà mai, per definizione, una soluzione definitiva per i rischi derivanti da un cattivo linguaggio. Ma si possono comunque dare un paio di suggerimenti per una mitigazione dei rischi:
- usare il termine “neutralità” in modo chiaro ai fini della comunicazione accompagnandolo con una sua contestualizzazione (restrittiva o estensiva) rispetto ai contenuti ed agli obiettivi (bilanciamento delle cause e/o neutralizzazione degli effetti). Usare “neutralità climatica” solo con riferimento all’obiettivo del Green Deal europeo. Trovare eventualmente formulazioni più precise (“neutralità dei gas-serra”?) in altre occasioni (ad esempio aziendali) in cui il contenuto tecnico sia il medesimo. Non usare “neutralità carbonica” o “carbon neutrality” se non in citazioni, o quando l’obiettivo tecnico da raggiungere sia effettivamente limitato ai gas-serra contenenti carbonio;
- rendere meno eccezionali occasioni di corto-circuiti virtuosi ed efficaci tra media e mondo tecnico-scientifico, come nel caso della “Lettera ai media” dello scorso luglio; azioni specificamente finalizzate alla produzione di informazioni e comunicazioni corrette nel campo dei cambiamenti climatici (cause, effetti, soluzioni) che abbiano come destinatari sia il pubblico generale (tecnico e non tecnico) sia i territori coinvolti con le loro amministrazioni. Potrebbero essere attivati tavoli volontari ed a geometria variabile, con incontri-confronti periodici tra rappresentanti del mondo tecnico-scientifico (ad esempio sotto-gruppi di firmatari della “Lettera ai media”) e gruppi di esponenti dei media (anche eterogenei, con la presenza di soggetti tra loro competitori sul piano della cultura e delle simpatie di provenienza). Peraltro è quanto già avviene nei talk-show televisivi, i cui contenuti però evaporano non appena terminato lo spettacolo della lotta tra i partecipanti. I risultati dei tavoli dovrebbero invece restare nel tempo, ordinati, a disposizione stabile del pubblico, magari su uno o più siti web dedicati e periodicamente tradotti in pubblicazioni. Utopia? Il pubblico, tecnico e non tecnico, apprezzerebbe.
Per quanto attiene la sostanza dei risultati cercati (arrivare ad una maggiore qualità dell’informazione e comunicazione sul tema dei cambiamenti climatici), quanto detto nei punti precedenti è solo una delle premesse. Si apre a questo punto il problema di fondo: se l’arrivare entro il 2050 ad un equilibrio tra emissioni ed assorbimenti di gas-serra su un singolo continente (l’Europa) possa essere considerato sufficiente o meno a bloccare gli effetti degli impatti climatici sui nostri territori. E intanto, nei prossimi trent’anni? Ma questo è un rilancio da fare in altre sedi con l’inclusione, che dovrebbe diventare una costante all’interno di tutte attività finanziate volte al contrasto ai cambiamenti climatici, dell’altra (oltre alla mitigazione delle emissioni) azione strategica per il governo della transizione, quella dell’adattamento e della prevenzione dei danni prevedibili evitabili. In modo da rendere da subito ordinario e non eventuale il ruolo dei territori, la loro messa in sicurezza, il recupero degli ecosistemi coinvolti e dei loro servizi. Ovvero evitare il disaccoppiamento che finora c’è stato tra il riequilibrio delle emissioni climalteranti (che produrrà i suoi principali effetti sul lungo periodo) ed il rafforzamento (che serve subito). dei sistemi concreti che stanno subendo danni climatici in aumento ed in cui vivono fisicamente i cittadini destinatari delle decisioni